Percorso.artistico
Volevo imprimere – in qualche modo – nel mondo reale, lo stupore che provavo nell’osservare il colore, il movimento di ciò che mi stava attorno insieme ai miei stati d’animo. Forme esterne e forme interne cercavano di fondersi in un’unica immagine per restituire parti, frammenti di un momento, vivo ed espressivo di uno stato, seppur transitorio.
La tecnica inizialmente usata è stata il colore ad acquarello su carta, appreso attraverso la teorica dei colori di Goethe nella Scuola Stenieriana
Poi la ricerca di altre tecniche che mi permettessero di esprimermi più compiutamente e la partecipazione alla Scuola di Art Therapy Italiana, dove avevo la possibilità finalmente di liberarmi di schemi e riferimenti che ormai sentivo non adeguati. La sperimentazione dei materiali, dei gesti, di qualsiasi forma…. Nel frattempo l’eliminazione dei colori tanti, troppi – e la sintesi in due opposti, secondo me, da unire – il cielo e la terra. Il blu e l’ocra. Cosa voleva dire lasciare emergere le forme dalle macchie di colore sul foglio, i gesti dei miei movimenti e del colore che si addensa e si diluisce nell’acqua? I giochi con le macchie, che si assumevano il compito di mettere insieme dentro e fuori, cielo e terra, senza che io sapessi esattamente dove, chi, che cosa…sono diventati poi giochi con la materia, lavori su compensato, su cartone con terre, acqua, colla e anche chine, acrilico, olio. Le tonalità preferite di questo periodo sono state quelle della terra.
Talvolta dalla materia emergevano forme inaspettate di riflessi e sostanza portatrici di un “conosciuto non pensato” (C. Bollas) senza una forma definita o definibile – immagini/frammenti che erano voce di un’urgenza interiore desiderosa di trovare un segno nel reale. La materia giocava con gli stati interiori nel tentativo di narrare storie antiche e presenti, riportate fuori con un’operazione di graffio: catrame, affresco, con cartone, iuta, terre….Composizioni che richiamavano ad un intento quasi archeologico, che potevano permettersi poco colore (terra e oltremare e poco più) per toccare l’emozione transitoria che tentavo di fissare nell’enorme bisogno di riconoscerla a me stessa e poterla dire. Così sono arrivata alla mia personale dal titolo “le crepe del silenzio” (dal 15 al 28 giugno 2003 nello spazio comunale ex-Macello di Verona) che, muovendo i passi dalla difficoltà di comunicazione nel linguaggio verbale – cercava un contesto silenzioso (fondo nero catrame oppure bianco d’affresco) dei segni, dei frammenti che potevano rappresentare un “balbettio dell’anima” in una realtà che viviamo di iper-comunicazione dove i messaggi inflazionano ed annullano il potere di comunicazione umana reale.
Infine, l’introduzione di qualche nuovo colore in un breve periodo di ricerca dell’Isola ed i suoi riflessi. La mia ricerca è proseguita poi nell’uso di supporti non convenzionali dover poter “costruire” un’immagine insieme al materiale esistente anche se brutto, da buttare: ho esposto a novembre 2005 in una mostra collettiva “Cycling and Recycling” all’Arsenale di Verona.
Infine i colori che tornano, anche se utilizzati in tonalità monocromatiche sono diventati progressivamente più vivi, coinvolta ancora nella ricerca di tecniche fino al allora non utilizzate. Il racconto continua
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